Dopo 400 anni svelato il significato della “Lettera del diavolo”

La Lettera del Diavolo è una missiva scritta in caratteri incomprensibili ed era custodita nel Monastero di clausura di Palma di Montechiaro (Agrigento).

Quella in possesso del Monastero sarebbe una copia, mentre l’originale si trova esposta nella torre della Cattedrale di Agrigento. Era inserita in un manoscritto che racconta la vita della monaca protagonista dell’episodio.

Si narra che questa lettera fosse stata ricevuta da una monaca benedettina del convento, suor Maria Crocifissa della Concezione (Isabella Tomasi), per tentarla.
La lettera era stata consegnata alla monaca dal Demonio in persona, che le chiese di firmarla. Suor Crocifissa, avendo compreso il contenuto della lettera, vi scrisse invece solo «ohimè».

Di questa lettera, sul cui significato gli studiosi si sono arrovellati a lungo invano, dal momento che la lingua usata non è nessuna di quelle conosciute -sebbene alcune parole sembrino greche e arabe- parla lo scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo romanzo Il Gattopardo.

Questi, essendo andato nel 1955 a visitare il monastero, ne fu a tal punto colpito da inserire nel romanzo l’episodio, celando la figura della sua antenata suor Crocifissa, che ne fu protagonista, nel personaggio della “beata Corbera”. Di questa vicenda si parla anche nel documentario La Sicilia del Gattopardo di Ugo Gregoretti, in cui viene anche mostrata la lettera.

Suor Maria Crocifissa (1645-1690) era sorella di san Giuseppe Tomasi, dell’ordine dei Teatini; fu dichiarata Venerabile da papa Pio VI, ed è sepolta nel monastero.

La Lettera del Diavolo ha ispirato un romanzo di Sergio Campailla.

Una leggenda popolare afferma che la traduzione della lettera è la seguente: mio figlio Calogero Iacona comanderà su tutti i paesi e su tutte le città ma ohimè sarà sempre da solo e si comporterà in modo signorile.

La lettera è stata recentemente decifrata da un gruppo di scienziati del “Ludum science center” di Catania tramite un algoritmo

Così un algoritmo ha decifrato il mistero della “Lettera del diavolo”

Scritta da una suora siciliana nel ’600, tradotta solo oggi da un gruppo di informatici

Monastero di clausura di Palma di Montechiaro, 11 agosto 1676. Suor Maria Crocifissa della Concezione, al secolo Isabella Tomasi, viene trovata seduta a terra nella sua cella, «mezza faccia sinistra imbrattata di nero inchiostro», il respiro affannoso, il calamaio sulle ginocchia, un foglio tra le mani scritto in un alfabeto incomprensibile. Una lettera, racconta la suora alle consorelle, dettatale da Satana in persona al termine di una lotta estenuante con un gruppo di demoni. Comincia così un mistero che ha riempito i verbali dell’epoca, appassionato scrittori come Tomasi di Lampedusa (pronipote della suora) e Andrea Camilleri, indotto La Domenica del Corriere a bandire tra serio e faceto un concorso, negli Anni 60, promettendo un soggiorno di un mese ad Agrigento per chi riuscisse a tradurre la lettera.

Il centro catanese
Ebbene, un gruppo di fisici e di informatici catanesi, gente che con la scienza ci vive (e ci gioca nel Ludum Science Center che anima alle porte di Catania) l’ha appena decifrata, utilizzando un programma di decriptazione preso dal «deep web», il grande mare nascosto della rete, che non si trova su Google perché non vuole essere cercato. «C’è di tutto là dentro – dice Daniele Abate, 49 anni, responsabile del team e direttore del Ludum – droga, prostituzione, pedofilia, e anche programmi utilizzati dall’intelligence per decifrare messaggi segreti, come quello che abbiamo usato noi. Algoritmi che fanno tentativi di decifrazione, individuando caratteri simili che si ripetono. Un tentativo, è bene chiarirlo, ma un tentativo i cui esiti ci hanno stupiti».

Già. Quelle undici righe, che ricordano a prima vista un po’ il greco classico e un po’ l’alfabeto cirillico, raccontano infatti qualcosa. Non del tutto coerente, non del tutto comprensibile, ma certo relazionata con Dio e con Belzebù: «Forse ormai certo Stige», si legge nella lettera, e Stige è uno dei cinque fiumi degli Inferi secondo la mitologia greca e romana. E poi ancora: «Poiché Dio Cristo Zoroastro seguono le vie antiche e sarte cucite dagli uomini, Ohimé». E infine: «Un Dio che sento liberare i mortali».

Ma come si fa a tradurre la lingua del diavolo? «Abbiamo inserito nel programma – spiega Abate – l’alfabeto greco, quello latino, quello runico (delle antiche popolazioni germaniche) e quello degli yazidi, il popolo considerato adoratore del diavolo che abitò il Sinjar iracheno prima della comparsa dell’Islam, tutti alfabeti che suor Maria Crocifissa poteva avere visto o conosciuto. L’algoritmo prima individua i caratteri che si ripetono uguali, poi li compara con i segni alfabetici più simili nelle varie lingue».

Qui al Ludum l’aria che si respira è quella di illuministi figli del pensiero laico. «L’idea che mi sono fatto – dice ancora Abate – è che questo sia un alfabeto preciso, inventato dalla suora con grande cura mischiando simboli che conosceva. Ogni simbolo è ben pensato e strutturato, ci sono segni che si ripetono, un’iniziativa forse intenzionale e forse inconscia. Lo stress della vita monacale era molto forte, la donna potrebbe avere sofferto di un disturbo bipolare, allora non c’erano farmaci né diagnosi psichiatriche. Certamente c’era il diavolo nella sua testa».

La lotta contro il Male
Per la Chiesa di allora, invece, la lettera è l’esito della lotta contro uno stuolo di «innumerabili spiriti maligni» decisi a utilizzare suor Maria Crocifissa – fatta poi beata – come «misero corsiero» per un messaggio preciso: chiedere a Dio di lasciare i mortali ai loro peccati, e di smettere di elargire «Misericordia e Pietà». Di non strapparli dalle braccia di Lucifero, insomma. Lotta strenua, a leggere il verbale stilato dall’abbadessa Maria Serafica, che raccoglie le parole della monaca. Sarebbero stati i diavoli a costringerla a firmare la lettera (e lei, eroicamente, si sarebbe opposta scrivendo «Ohimé», l’unica parola comprensibile del documento). Sarebbero stati i diavoli a imbrattarle la faccia di inchiostro, a minacciare di picchiarla col calamaio «ma non lo permise il Signore, perché se ciò succedeva moriva sicuramente, perché era di bronzo».

Suor Maria Crocifissa ne uscì tramortita, mentre i diavoli le ordinavano di portare subito il messaggio a Dio altrimenti «l’avrebbero castigata severamente». Quelle 14 righe misteriose (custodite nel monastero di Palma di Montechiaro, ma una copia sta nell’archivio della Cattedrale di Agrigento) sono tutto ciò di quel che resta della lotta con Belzebù. C’erano altri due messaggi dei demoni, ma la suora non li scrisse e li portò con sé nella tomba. «Non mi domandate di questo per carità – disse alle consorelle – che non posso in verun modo dirlo, e nemmeno occorre dirlo io, che verrà tempo che il tutto udirete e vedrete».

Isabella Tomasi

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Isabella Tomasi (nota come suor Maria Crocifissa della Concezione; Agrigento, 29 maggio 1645 – Palma di Montechiaro, 16 ottobre 1690) è stata una religiosa italiana, considerata venerabile dalla chiesa cattolica.

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Da sempre venne educata in un ambiente familiare molto religioso che caratterizzò perennemente la famiglia Tomasi di Lampedusa. Non è noto se fosse già allora destinata dalla famiglia alla vita monacale, anche se è probabile che fosse così. D’altro canto lo stesso era stato fatto con il fratello Giuseppe Maria che diverrà cardinale e che verrà santificato e con le altre due sorelle, Francesca e Antonia.
Il padre delle giovani Giulio e il fratello Carlo avevano chiesto e ottenuto dalla curia il permesso di costruire un convento di clausura a Palma di Montechiaro. Ristrutturarono quindi il loro palazzo ducale (i Tomasi erano duchi di Palma) trasformandolo in un convento attiguo alla cattedrale del tempo che divenne la chiesa della comunità religiosa.
Isabella Tomasi entrò in convento il 7 ottobre 1660 e prese i voti assumendo il nome di suor Maria Crocifissa della Concezione.
Iniziò così la sua vita di religiosa dedicandosi alla meditazione, ai lavori più umili e ad un’intima e fervente unità con il Signore. Il vescovo di Agrigento, Ignazio D’Amico, essendo venuto a conoscenza della devozione della religiosa, inviò tre gesuiti per avere conferma di quanto appreso. I tre sacerdoti rimasero impressionati della santità della religiosa e ne riferirono al vescovo al loro ritorno.
Nel 1672 si dice abbia avuto una visione della Madonna Addolorata che le avrebbe detto “Sarà la croce la tua perpetua clausura… Già è stabilita la croce, resta il montarci pian piano sopra… per essere crocifissa perfettamente”.
Secondo una testimonianza di una sua sorella, che con lei conviveva nella comunità, visse continuamente in penitenza, accettando con gioia le infermità che la colpirono e la condussero poi a morte prematura.
Morì, nel convento in cui era vissuta, il 16 ottobre 1690.
Nel 1701 venne avviato il processo di beatificazione e nel 1704, il vescovo di Agrigento chiese che venisse scritta la sua biografia, e successivamente venne pubblicato anche il suo epistolario. Il 15 agosto 1787, papa Pio VI la nominò venerabile.
Nel 1955. Giuseppe Tomasi di Lampedusa, uno dei discendenti di Isabella, andò a visitare il convendo di Palma dove l’antenata era vissuta ed era stata sepolta. Lo scrittore ne rimase colpito a tal punto da inserire nel suo romanzo, Il Gattopardo, la figura della beata Corbera, alter ego letterario di Isabella Tomasi.

Opere

Dell’orribile bruttezza dell’anima di un sacerdote che celebra il Divino Sacrificio in peccato mortale, Palermo, Isola, 1675
Le salutazioni del SS. Rosario e detti segnalati cinque gaudii di Maria Vergine, Palermo, Costanzo, 1700

Bibliografia e articoli

Domenico De Gregorio, La chiesa agrigentina, notizie storiche, vol. II, Agrigento, 1997

https://it.aleteia.org/2017/09/07/mistero-…tana-e-seguaci/
http://www.lastampa.it/2017/09/05/italia/c…ugK/pagina.html

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