Un nuovo Studio descrive il legame tra alti livelli di pesticidi nelle donne incinte e il rischio di autismo nei loro bambini

La scienza ha fornito ulteriori indizi sul motivo per cui i tassi di autismo nei bambini continuano a salire alle stelle in tutto il mondo occidentale.

Un nuovo studio innovativo, recentemente pubblicato sull’American Journal of Psychiatry,  ha rilevato che l’esposizione ai pesticidi nelle donne in gravidanza è direttamente correlata all’aumentato del rischio di autismo nei bambini, sottolineando che l’agricoltura industriale è una delle principali cause di danno cerebrale nei bambini esposti.

Un team di ricercatori della Mailman School of Public Health della Columbia University di New York si è unito ai ricercatori dell’Università di Turku e dell’Istituto nazionale per la salute e il benessere, entrambi in Finlandia, per esaminare più da vicino se i pesticidi e in particolare il DDT (diclorodifeniltricloroetano), svolgono un qualsiasi ruolo nel causare l’autismo.

Utilizzando i dati raccolti dallo studio prenatale finlandese sull’autismo, questo studio di coorte investigativo ha analizzato campioni di siero di oltre 750 bambini con autismo. Hanno cercato specificamente DDE (p, p’-diclorodifenil dicloroetilene), una decomposizione sottoprodotto del DDT, e  questi campioni di siero li hanno confrontati con altri campioni di bambini non autistici.

Quello che hanno scoperto è che il rischio di sviluppare autismo è circa del 33% più alto quando le madri hanno livelli elevati di DDE nel sangue. Quel rischio salta a circa al doppio quando i livelli di DDE rilevati risultano piu alti, suggerendo una relazione di corollario tra aumento dell’esposizione ai pesticidi e aumento del rischio di autismo.

Questi risultati rivoluzionari, il team di ricerca scrive, “forniscono la prima prova basata sui biomarcatori che associa l’esposizione materna agli insetticidi all’autismo tra la prole.”

“Pensiamo ormai a queste sostanze chimiche come al passato, relegate in un’era ormai lontana di pericolose tossine del 20° secolo”, ha dichiarato il dottor Alan. S. Brown, autore principale dello studio. “Sfortunatamente, sono ancora presenti nell’ambiente e sono nel nostro sangue e nei tessuti”.

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